giovedì 23 giugno 2016

Sacro cuore condannato per discriminazione omofobica: primo caso in Italia

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Trento, condannata scuola cattolica
"Discriminò insegnate ritenuta gay"

L'istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù dovrà risarcire con 25 mila euro una docente a cui non fu rinnovato il lavoro sulla base del suo presunto orientamento sessuale. E' il primo caso in Italia.
di Elena Tebano

L’avvocato Alexander Schuster
Il giudice del lavoro di Rovereto, in Trentino Alto Adige, ha condannato per la prima volta in Italia una scuola paritaria cattolica per aver discriminato un’insegnante in base al suo (presunto) orientamento sessuale. L’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovrà risarcire con 25 mila euro per danni patrimoniali e non patrimoniali la docente, rappresentata dall’avvocato Alexander Schuster, e con 1.500 euro ciascuna la Cgil del Trentino e l’Associazione radicale Certi diritti. Il Tribunale del lavoro di Rovereto ha stabilito che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola» e che la docente «ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore». Il giudice inoltre ha rilevato una «discriminazione collettiva» perché la condotta della scuola «ha colpito non solo la ricorrente, ma ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’Istituto» (da qui il risarcimento al sindacato e all’associazione per i diritti civili). «Finalmente ho avuto giustizia» commenta l’insegnante, che per questioni di privacy ha chiesto di rimanere anonima. «Questa decisione fissa un punto chiaro: i datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita — aggiunge l’avvocato Schuster —. L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro» .
I «sospetti» di omosessualità
Il caso risale al 16 luglio 2014 quando l’insegnante, che aveva avuto più incarichi successivi nella scuola, fu convocata a contratto scaduto dall’allora responsabile dell’istituto, suor Eugenia Libratore, per parlare dell’eventuale rinnovo. La docente ha testimoniato che la madre superiore (deceduta a settembre scorso) le «aveva chiesto di passare lì a scuola poiché era venuta a conoscenza di alcune voci secondo le quali io avevo una compagna con la quale intrattenevo una relazione affettiva-sentimentale e con la quale vivevo assieme». La religiosa, ha riferito la donna, aveva giustificato le sue domande con il fatto che «dirigeva un istituto religioso nel quale si trovavano dei minori che lei doveva assolutamente tutelare», aggiungendo che «per risolvere il problema sarebbe stato sufficiente che io confermassi o negassi queste voci, così da garantire una continuità professionale presso l’Istituto». Di fronte al rifiuto della docente di confermare o smentire alcunché sulla sua vita privata, la suora, secondo quanto viene ricostruito negli atti, affermò che non farlo «equivaleva ad asserire di essere omosessuale» e che lei «aveva problemi come dirigente dell’Istituto a rinnovare il contratto ad una persona ritenuta omosessuale», ma che nel caso in questione «sarebbe stata disponibile a chiudere un occhio nei miei confronti qualora io mi fossi impegnata a risolvere il problema, cominciando con ciò ad alludere al fatto che l’omosessualità è un problema, una malattia o comunque qualcosa che vi è la necessità di curare».
Il cambiamento di versione
L’istituto aveva negato di aver discriminato l’ex dipendente, dapprima sostenendo di non aver bisogno di ricoprirei l’incarico, poi tra le alte cose, giustificando il mancato rinnovo del contatto con la necessità di tutelare il proprio progetto educativo e anche accusando la docente di condotte improprie. Il giudice nell’ordinanza nota però il cambiamento delle versioni su quanto accaduto dato dalla scuola e rileva che «la circostanza secondo la quale il gestore dell’Istituto avrebbe “sentito delle eco [sic!] su di lei da parte di famiglie e colleghi insegnanti” appare niente più che una giustificazione difensiva a posteriori» mentre «appare in tutta chiarezza come il punto centrale del colloquio del 16.7.2014 fosse stato per suor Eugenia Liberatore quello dell’orientamento sessuale» della docente. E sancisce così che questo costituisca «una patente violazione del principio di parità di trattamento» tutelato dalla legge contro le discriminazioni sul lavoro del 2003, inteso come «l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale».
La libertà religiosa non giustifica discriminazioni
Tra i passaggi più importanti dell’ordinanza c’è quello in cui il magistrato esclude che si possa applicare alla vicenda in esame la «clausola di salvaguardia» prevista «per le cosiddette organizzazioni di tendenza». La legge italiana infatti prevede che «non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività». Ma, afferma il Tribunale di Rovereto «nel caso qui in esame è stata perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi» e quindi non vale l’eccezione garantita dalla legge dalla legge «atteso che l’orientamento sessuale di un’insegnante» è «certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto».

Dal Corriere della sera online, 23 giugno 2016

La sentenza del Tribunale di Rovereto dice chiaramente che i diritti delle persona omosessuali valgono ovunque, senza zone franche religiose o filosofiche, senza differenza tra scuole private e pubbliche. Il valore di un insegnante è indipendente dal fatto che sia etero o gay, e un licenziamento è ingiusto e illegittimo se si fonda sull’orientamento sessuale. 
Noi lo sapevamo già, lo sapeva il buonsenso e lo sosteneva da decenni sia la comunità degli educatori sia la giurisprudenza di tutti i Paesi democratici del mondo intero.
A non saperlo - o a far finta di ignorarlo - è stato il presidente Rossi che nella sua istruttoria, affidatagli direttamente dal Ministero dell’Istruzione, nulla aveva eccepito. Nulla, anche se la responsabile del Sacro Cuore, citando Ratzinger, affermava davanti alla commissione incaricata dal Presidente che: “Vi sono ambiti nei quali non é ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale (…) nell’assunzione di un insegnante”.
Queste parole, proprio queste, sono costate al Sacro Cuore una condanna di risarcimento. Queste parole dovrebbero condannare anche la condotta della Giunta Rossi che non le ha valutate come un’ingiustizia, come una scorrettezza, soprattutto se compiuta da un istituto paritario, finanziato con i soldi di tutti, che alla pari delle altre scuole ha l’importante compito di formare gli adulti di domani.
A questo punto un ragionamento su tutto ciò andrebbe fatto, considerando la necessità di imporre alle scuole paritarie confessionali il principio sacrosanto della non discriminazione, e a scriverlo nero su bianco - anche alla luce della mozione contro le discriminazioni votata dal consiglio provinciale - dovrà essere il presidente Rossi.